Pochi sanno che il Metodo Charmat, procedimento di spumantizzazione basato sulla rifermentazione del vino in autoclave, prende il nome dal francese Eugène Charmat, inventore delle attrezzature di cantina per tale procedimento, mentre dovrebbe essere propriamente riconosciuto come Metodo Martinotti, dall’omonimo ideatore piemontese, Federico Martinotti, allora primo assistente presso la Reale Stazione Agraria di Torino, che nel 1895 inventa e brevetta questo rivoluzionario procedimento di spumantizzazione. Ma è proprio qui in Italia che tale denominazione è totalmente in disuso, se non addirittura semi-sconosciuta. Negli altri paesi infatti viene semplicemente e più correttamente chiamato Metodo Italiano, grazie soprattutto all’ampia diffusione del suo rappresentante enologico principe: il Prosecco. Consiglierei quindi a tutti gli esperti del settore, produttori e sommelier di cominciare ad utilizzare anche in Italia tale designazione, nel rispetto dell’inventore e di noi stessi Italiani!
Durante l’ultima manifestazione “Durello&Friends 2018” svoltasi presso Villa Bonin a Vicenza il 26-27 ottobre, è stata organizzata, a cura del Consorzio Lessini Durello, una singolare degustazione, giovane e divertente, dove l’abbinamento di vini Durello realizzati sia con Metodo Italiano che Classico, in un ambiente a contrasto con la classicità dei prodotti si è rivelata assai gradevole e efficace. Un connubio tra “Sacro e Profano”, come la bolla e la discoteca: eppure, cosa c’è di più affine tra una inebriante bottiglia di spumante e una sala da ballo avvolta dalla musica più coinvolgente? Che vino scegliere altrimenti in un locale in cui esprimere la propria personalità, spontaneità ed effervescenza? Non certo un rosso barricato, un bianco giovane e beverino o un passito da meditazione! Proprio qui infatti si consuma il maggior numero di ettolitri di bollicine l’anno … e sottolineo Ettolitri!

In questa insolita location, il Consorzio Lessini Durello ha pensato una degustazione non solo informale ma anche tecnica; vari banchi di assaggio, degustazioni guidate da sommelier o enologi, abbinati a raffinati piatti goûrmet a base di Durello, preparati da chef, talvolta stellati, allietavano l’evento accompagnando piacevolmente queste insolite bollicine. Molto interessante l’evoluzione che i produttori hanno compiuto in questi ultimi 5-6 anni, trovando la strada più adatta per la valorizzazione di questa straordinaria uva ma di difficile lavorazione e dalla spiccata acidità con asprezza naturale: mentre in passato si preferiva il Metodo Italiano, oggigiorno è maggiormente diffuso il Metodo Classico, sicuramente più elegante e raffinato per quest’infruttescenza.

E’ importante ricordare che il vitigno Durello, già coltivato nei Monti Lessini fin dal 1292 secondo lo statuto della comunità di Custoza, era inizialmente conosciuto con il nome di “Durasena” (dal latino Durus Acinus), richiamando lo spessore della buccia dei frutti. Tale denominazione fu mantenuta fino agli inizi del secolo scorso, quando si evolverà in “uva Durella”, chiaro riferimento alla consistenza dell’acino e alla sua agrezza. Nel 1987, il Durello è stato quindi ufficialmente insignito della Denominazione di Origine Controllata (DOC) nelle province di Vicenza e Verona, dieci anni prima della nascita del Consorzio Lessini Durello avvenuta nel 1997. Lo studioso Giovanni Battista Perez infatti, nella sua monografia del 1904 all’interno dell’ampia raccolta di documentazioni Soriano Moretti, indica che la “durella” o “durola bianca” era coltivata a Roncà (Verona) e che tale vitigno si era particolarmente diffuso fino all’estremo lembo orientale della provincia, pur provenendo dal comunicante territorio di Arzignano (Vicenza).
L’adozione del Metodo Classico nella produzione del vino Durello è stata principalmente promossa da alcune aziende passate alle nuove generazioni o nate negli ultimi anni, vere e proprie forze trainanti di questo territorio. Vengono dunque proposte bollicine Metodo Classico Brut, Extra Brut e Dosaggio Zero (Brut Natur o, in francese, Pas Dosè). Quest’ultimo, particolarmente apprezzato dagli amanti delle bollicine, è caratterizzato dall’assenza di liquer d’expedition, uno sciroppo a base di vino fermo e zucchero che solitamente si utilizza per incrementare la concentrazione di zuccheri nel prodotto preparato secondo il Metodo Classico (o méthode champenoise per lo Champagne). Pertanto, le bottiglie a dosaggio zero contengono meno zuccheri dello spumante tradizionale (meno di 3 grammi di zucchero per litro contro i 6 grammi o meno dell’Extra Brut e i 12 grammi o meno del Brut). Sembra invece incredibile che ancora oggi i produttori, secondo il disciplinare, ufficialmente non possano scrivere in etichetta “Brut Natur”, “Dosaggio Zero” o “Pas Dosè”, pena importanti sanzioni economiche. Sono diversi anni che attendono dal governo l’approvazione della modifica al disciplinare, eppure ancora oggi tutto tace. Non sorprende che la medievale burocrazia italiana si vocata solamente al non-sviluppo economico del nostro Bel paese!
Così, l’uva Durella trova la sua massima espressione nel Metodo Classico, esprimendo freschezza, acidità ed equilibrio, in particolare nelle versioni Extra Brut o Dosaggio Zero. Risulta meno pregiato quindi il Metodo Italiano, sebbene alcuni ostinati produttori lo propongano addirittura con affinamenti di 18 mesi in autoclave oppure Extra Dry solo per tentare di competere contro il più celebre Prosecco: come se nel “mare” del mondo del vino si cercasse il plancton o una balena! Particolarmente degne di nota sono alcune cantine che adoperano il Metodo Classico con affinamento di 60 mesi sui lieviti, come Sandro de Bruno, Bellaguardia e Fongaro (recensiti sul sito www.lindovino.it).
Quindi, largo alla raffinatezza ed eleganza del Metodo Classico nel Durello, fino a qualche generazione passata prevalentemente utilizzato come uva da taglio per altri vini fermi o spumantizzati, conferendo acidità e colorazione non solo a prodotti nazionali, ma anche a mostri sacri d’Oltralpe! Che questo nuovo percorso, tra qualche anno, possa portare la vocazione enologica dei Lessini a trovare un proprio importante spazio tra le maggiori realtà spumantistiche classiche italiane?
L’INDOVINO