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Location 7.5
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Ambiente 7.2
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Cortesia del personale 8.5
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Competenza del personale 8.5
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Organizzazione 7.0
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Immagine aziendale 6.7
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Qualita/Prezzo Vini 7.4
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Le Classificazioni Degli Utenti (0 Voti)
0
Aspetti Positivi:
cortesia ed ospitalità, filosofia aziendale, la volonta di valorizzare a 360° il vitigno autoctono "Durella", la semplicità nella ricercatezza delle etichette, la valorizazzione dei vigneti autoctoni rossi come Turchetta, Oseleta e Cambrusina, la pulizia ed ordine in cantina, la qualità dei vini.
Aspetti Negativi:
assenza sito web, assenza insegna ingresso cantina, cantina non segnalata.
Nome:
Muni
Daniele Piccinin: il Credo nella DURELLA e non solo
Il nostro viaggio prosegue in Lessinia, situata tra le province di Verona e Vicenza, dedicato all’approfondimento del vitigno autoctono a bacca bianca Durella, alla scoperta di un’altro dei 15 Cru identificati nel territorio, sinonimo di singole macrozone che rappresentano un fortissimo legame tra l’ambiente pedoclimatico e le diverse espressioni dell’antico vitigno riscontrate attraverso i vari terroir.
Ci rechiamo a San Giovanni Ilarione (VR), una vallata tendenzialmente vulcanica che si divide in due versanti; a nord vi è una maggiore altitudine con pendenze che raggiungono il 60-70%, mentre a sud, i versanti sono suoli profondi di origine argillosa-calcarea, con pendenze inferiori.
Il nostro appuntamento è presso l’azienda Muni di Piccinin Daniele, una zona anomala come conformazione dei suoli, in cui il calcare confina con il naturale prolungamento della Valpolicella.
Ci incontriamo alle 18.45 direttamente a casa di Daniele, con la massima ospitalità e gentilezza, ci fa accomodare in cucina, mentre la moglie sta preparando la cena alle tre bambine (tutte femmine!), dopo aver sfornato i saponi creati con il suo olio EVO dalle cultivar Frantoio, Leccino, Grignano, Leccio del Corno; un bellissimo olio di struttura con una punta di piccante che ne armonizza e impreziosisce il piacevolissimo gusto, arricchendoli piatti meno elaborati!
Daniele è un ragazzo giovane, alto, solare, semplice, con la voglia di raccontarsi, ovvero di raccontare la sua indole caparbia, con i piedi ben saldi a terra, ma desideroso di assecondare i richiami della natura, della vita all’aria aperta, tipico di chi è del segno della Vergine, come lui.
Diplomatosi all’Istituto alberghiero, durante alcuni lavori stagionali come cuoco, conosce il suo futuro socio, con cui aprirà un ristorante. Un’esperienza lunga 7 anni, ove le preparazioni culinarie del suo collega si abbinano alle varie etichette selezionate da Daniele, con una predisposizione innata per i vini naturali.
Dedica il lunedì, giorno di riposo settimanale del locale, alla conoscenza dei produttori, tra cui il suo mentore, Angiolino Maule dell’azienda La Biancara, Presidente di VinNatur (Associazione di Vignaioli Naturali), colui che gli insegnerà che “l’uva si schiaccia e diventa vino”; lo va a trovare in più occasioni, inizia e intrattiene rapporti che vanno oltre l’amicizia. Daniele definisce il loro rapporto con una semplice frase, da Veneto verace: “ Angiolino ha acceso la fiamma, io ho dato fuoco al fornello!”
Intraprende alcuni viaggi in Francia, soprattutto nella Valle della Loira per conoscere la terra di Nicolas Joly, Olivier Cousin, Marc Angelie, persone che in quei anni erano considerati i primi produttori e guru dei vini naturali, con abolizione totale dell’uso della solforosa, utilizzata spesso “allegramente” all’epoca. Lavora fianco a fianco con loro, in vigna, in cantina, apprendendone la filosofia, il sapere, dove le “sbornie” non erano solamente momenti felici e spensierati, ma occasioni di comprendere i segreti di un’arte antica…..specialmente nella gestione della vigna.
Rammenta che quando si andava in vigna si beveva tutto il giorno, spesso durante la pausa pranzo si apriva la bottiglia magnum, e se si crollava, si dormiva dove ci si trovava, per poi riprendere il lavorare senza batter ciglio.
Occasioni che lo fanno innamorare al mondo del vino, intraprendendo un nuovo cammino, il suo… cammino, nel totale rispetto dell’ambiente, del consumatore, di quello che noi troviamo nel calice, ma anche di quello che Daniele sente dentro di se, infatti fin da subito in pochi anni ottiene la certificazione Biologica aziendale, non per moda ma per i valori innati che lui possiede.
Un produttore Giovane, non figlio d’arte, ma che ha le idee ben chiare, capisce l’importanza dell’utilizzo della bioagricoltura e della biodinamica, ma crede che tali filosofie debbano in parte essere anche avvallate da studi scientifici. In particolare nella filosofia dell’uso di alcuni sistemi della Biodinamica. Infatti non trovando particolare giovo e miglioramenti aziendali ad esempio dall’uso del “corno letame” e dell’energizzatore dei suoli proveniente dalla Francia decide di abbandonarli, abbracciando altri sistemi ove ha riscontrato benefici maggiori.
Con dispiacere, ci mostra alcuni vigneti di altri produttori in fase di espianto poiché colpiti dalla Flavescenza dorata (un battere della classe dei Mollicutes, la cui sopravvivenza è possibile solo all’interno della pianta ospite e dell’insetto vettore. Il tipo di parassitosi o fitoplasmosi fa parte del gruppo dei giallumi della vite . Il nome viene attribuito dalla colorazione gialla dorata che assumono le foglie, i tralci ed i grappoli di vitigni a bacca bianca una volta colpiti. Il battere causa della malattia si insedia nella pianta provocandone il blocco della linfa, alterando le capacità fisiologiche della vite stessa), e ci racconta del progetto di studio scientifico che sta svolgendo con ViteNova Vine Wellness al fine di capire il perchè si sta diffondendo così rapidamente e quale sistema ecosostenibile sia possibile utilizzare contro questo micidiale parassita
La realtà parte con una vigna in affitto di Chardonnay e Durella, situata in contrada Muni (da cui prende il nome l’azienda) dove è nato suo nonno Giuseppe, a 350 m s.l.m. su suoli prettamente calcarei. Vi era anche la casa colonica dove Daniele da piccolo trascorreva le giornate giocando tra i campi e l’aia, ma anche aiutando il nonno con le varie lavorazioni di campagna.
Nel gennaio 2006 la grande passione lo porta ad acquistare, insieme alla moglie, un podere in parte vergine, in parte con vigneti già in produzione, inizialmente portando l’uva da Angiolino Maule che per i primi tre anni lo segue anche nella vinificazione. Applica le tecniche imparate in Francia e da Angiolino, inizia a piantare le proprie vigne ,quasi esclusivamente Durella, ma ottenuta da selezioni massali, che nel tempo grazie agli studi genetici, hanno dato vita a 70/80 biotipi, tra cui i cloni Festugati (oggi clone R240), Dorata (oggi biotipo Cecchin 2), Marcazzani (Biotipo clone Vitiver 1), Pruinosa (oggi clone 002/ISV-CVI-6), Picaia (oggi clone R239) , Grossa (oggi clone 0003-ISV-CVI-13), Gialla (oggi biotipo Cecchin 1), Classica (oggi clone R432), Gentile (oggi clone R238), ecc…
Poi acquista piccoli fazzoletti di terra vicino all’azienda, i vecchi contadini lo cercano per proporgli i loro amati vigneti, nella speranza di vedere continuare il loro duro ed instancabile lavoro, la loro tradizione destinata in quei anni a perdersi, a scomparire, perché l’agricoltura veniva abbandonata dai figli per approcciare lavori cittadini meno faticosi.
Oggi, Daniele possiede 10 ettari (8 ha di Durella, 1ha Pinot nero, 1ha Chardonnay) coltivati a pergola veronese (vigne vecchie), pergola trentina e guyot (nuovi impianti), oltre a 5000 metri quadrati di Pinot Bianco e Grigio, dal 2008 sono certificati biologici, con una produzione di circa 45.000 bottiglie.
Come precedentemente accennato, Daniele fin dal suo esordio, gestisce con cura e dedizione i vigneti attraverso lo sviluppo della biodiversità, l’utilizzo della materia organica senza fertilizzanti, l’uso moderato del rame, il tutto associato ad una lavorazione in cantina molto accurata e sostenibile, con l’obbiettivo di produrre uva di grande qualità al fine di realizzare il suo sogno di produrre grandi vini con minimi interventi in vigna.
I vigneti si autoregolano naturalmente con il minimo apporto dell’uomo, Piccinin ci racconta della sua esperienza, di avere creato un’equipe con un botanico, un entomologo ed un microbiologo che, in sette anni di studi, partendo da alcuni vigneti particolarmente problematici, sono riusciti ad equilibrare il ciclo vitale delle piante, che oggi fungono da volani di riferimento per le altre vigne. Vitigni che vivendo in simbiosi con l’ambiente circostante, producono normalmente l’uva e il relativo apparato vegetale necessario ogni anno a mantenere una specie di rapporto 1 a 1, ovvero pianta integrata al mondo degli insetti, degli uccelli della micro e macro flora e fauna.
Ci spiega che ha ridotto anche i passaggi con il trattore tra i filari, onde evitare il compattamento del suolo, alternato le epoche degli sfalci, per ridurre le erbe infestanti ma lasciando quelle maggiormente utili alla pianta, nessuna o per certi vigneti minima irrigazione di soccorso, e solo nelle annate più siccitose.
Le nostre chiacchere proseguono mentre Daniele ci versa un bicchiere di vino…
ARIONE VSQ Brut Nature Durello Metodo Classico 2017
100% Durella – acciaio- 24 mesi sui lieviti- zerodosaggio zuccheri – sboccatura febbraio 2020 – 13%vol.
Il nome deriva dal Santo protettore del paese: San Giovanni Ilarione. Nel termine più antico era il custode della terra: A-rione: colui che protegge la terra.
Dopo l’appassimento delle uve, il mosto viene utilizzato per il tiraggio – dopo la sboccatura, viene aggiunto lo stesso vino.
Progetto nato nel 2009, prende vita nel 2013 ( nel 2009-2010-2011 presentava eccessivo residuo zuccherino e qualche difetto e non viene prodotto; nel 2012 è stato messo in commercio nella versione ferma).
L’aspetto oro luminoso, enfatizzato da un perlage incessante e molto fine, presenta sensazioni floreali di margherite di campo, timo, rosmarino; nel tempo l’agrume del mandarino cinese e lo zenzero si liberano dalla loro timidezza, mentre un filo sottile e delicato definito mineralità calcareea, accompagna al sorso.
L’ingresso è gentile, si muove in punta di piedi, esprime le stesse sensazioni olfattive sino a metà percorso, nel momento in cui il frutto giallo di pesca e albicocca accompagnano le note ossidative, si allungano e prolungano con grande enfasi sino alla chiusura decisamente elegante, dal corpo equilibrato. La lieve ossidazione che si avverte in questo millesimo, è intrigante, affascina.. mentre il naso cerca il difetto, la virgola fuori posto, l’ultimo sorso ci fa capire che la bottiglia è gia finita!!!!
BIANCO Veneto Igt 2019
90% Chardonnay – 6% Durella – 3% Pinot grigio 1% Pinot Bianco – acciaio – 12 % vol.
Essendo il vino base, richiama il “bianchetto” che solitamente viene chiesto al bancone del bar : “Me det an bianco!!”; “dammi un goto de vino!!” Un vino semplice, fresco per tutti i giorni ma dalla tipica eleganza di Muni.
Prodotto nel 2006, è il vino con cui Daniele inizia a camminare con le proprie gambe, deriva dal primo vigneto in affitto, già in produzione.
Lo stile pulito e ordinato di Daniele si percepisce osservando il calice che presenta un colore giallo paglierino senza particelle in sospensione, l’estratto si muove sinuoso mostrando vivacità. L’olfatto è scandito dai tre varietali, i profumi dello Chardonnay si presentano educati e composti, pesca, pompelmo rosa, nespola associati al timo, fiori bianchi, e mineralità calcarea della Durella; richiami di frutti rossi e peonia del Pinot grigio; intervalli precisi intriganti. Il percorso gustativo si pone con discrezione data la gioventù del vino,le morbidezze attenuano la freschezza decisa e importante, supportata dalla sapidità; la mandorla fresca si pone nel palato assecondando la vena calcarea, il connubio termina dopo la deglutizione, per riproporsi durante la nostra chiacchierata.
MONTEMAGRO Veneto Igt 2018
100% Durella – 13% vol. – uve provenienti dalle vigne di Capitelli, Sottomarino, La Riva e Rivato. vecchie di 60 anni e dalle tre vigne “risanate” che oggi hanno 13 anni – fermentazione acciaio (dal 2019 solo legno) – affinamento 50% acciaio e 50 % nelle tre botti di legno francese da 10 a 24 hl per 10 mesi.
Osserviamo la veste oro, paragonabile al precedente metodo classico degustato. Il comparto olfattivo è intenso nel variegato cesto di frutta matura, pesca, mandarino cinese, cedro, fiori d’arancio stuzzicato da pepe bianco e foglie di tè verde.
Il sorso è ampio, strutturato, avvolge il palato con le sue morbidezze mentre il percorso si snellisce, affusolato nel frutto, la mandorla fa capolino mentre le note minerali vertono alla chiusura finale. Un’interpretazione della Durella, accattivante nel porsi, inusuale, nella versione ferma. Pronto per essere bevuto.
PINOT NERO Veneto Igt
Pinot nero – guyot – 1,20 ha piantato nel 2007 – resa 25hl – 13% vol.
9 Cloni francesi selezionati insieme al vivaista Guillame di Borgogna, dopo un’attenta analisi, optando per i più identificativi del varietale borgognone (es. n.112- n.113- n.966).
I cloni selezionati, sono stati messi a dimora in modo misto per creare un melange tra loro su portainnesto Courdec-3309 – Fermentazione in tino aperto – maturazione in barrique da 225 l e in botte da 5 hl per 9 mesi.
L’abito rubino di media trasparenza spicca nella luminosità accattivante. Una leggera riduzione, non fastidiosa, fa attendere la degustazione, ma poco importa, Daniele e la sua famiglia sono grandi padroni di casa. Ci spiega che la riduzione è dovuta alla chiusura che sta accompagnando la stagione invernale, è una varietà viva che risente dell’andameto stagionale. Ecco, fare capolino il frutto nero e rosso di bosco, ribes nero, mirtillo, mora, fragolina selvatica, sono i protagonisti indiscussi. L’utilizzo moderato del legno si avverte nella percezione gustativa, asseconda l’avvolgenza fruttata che accarezza il palato inserendo sbuffi balsamici e leggermente eterei. La bilancia dell’equilibrio lo pone in perfetta sintonia con l’armonia raggiunta dallo stato evolutivo a dir poco a suo agio per essere bevuto, nonostante il tannino è in attesa di essere domato completamente.
Alla cieca, questo Pinot nero non si identifica alla Lessinia, ma all’Alto Adige.
Vini intriganti, puliti eleganti che evolvono nel tempo con l’uso moderato del legno, senza interferenze. Chiediamo cosa pensa dell’anfora, oggi presente in molte cantine “naturali” e non, Daniele ritiene che abbiano solo la funzione di contenitore, è meglio affinare il vino nel legno, dona longevità, il suo tannino lo rende antiossidante, più stabile….. sorride, pensando alle nuove botti da 20 e 30 ettolitri di Slavonia che arriveranno a breve nella sua cantina.
Nonostante il periodo critico dovuto al Covid-19, le vendite non sono diminuite, il mercato nazionale regge come il mercato estero ( circa il 50% vendite), soprattutto Australia, Canada, Ucraina, Giappone, Inghilterra, Svezia ,Nord Carolina , Germania.
Daniele ha un sogno nel cassetto che vorrebbe si realizzasse grazie al connubio territorio e Durella.
Il suo desiderio è produrre dei vini bianchi dallo storico vitigno autoctono che possano diventare un competitor nel mondo enologico; per lui è fondamentale non snaturare la varietà o confinarla ad un’unica tipologia, ma averne riconoscenza anche nella versione ferma, che ancora oggi solo pochi vinificano. Vorrebbe fosse presente nelle batterie dei grandi vini del mondo, ma c’è ancora molto lavoro da fare!. Non possiamo che essere d’accordo con lui e gli altri produttori della zona, il potenziale esiste, ci sono le carte in regola, ma ogni viticultore ha bisogno del supporto di tutti i produttori del territorio. Solo l’unione fa la forza…. Daniele accenna un sorriso, chissà….
Ma la voglia di conoscere più profondamente Daniele Piccinin e la sua azienda MUNI, ha portato l?Indovino a richiedere un secondo incontro….e subito con la mitica “Pandina” 4×4 di Daniele si visitano i vigneti di Pinot Nero e Durella inerpicati in terreni particolarmente scoscesi, raggiungibili da capezzagne simili a mulattiere, dove solo i terrazzamenti possono essere adibiti a coltivazione di viti o ulivi. Ad ogni vigneto si scende dalla storica Panda e Daniele spiega, come secondo lui si deve potare la vite Pinot Nero in questo territorio, o come si alleva la Durella, spiegando le peculiarità di alcuni varietà diverse, e quale riconoscibile come più idonea per quel territorio…..Il piccolo confetto bianco a 4 ruote, sfiora i cigli dei burroni, ancorata al terreno solo dai solchi creati nel tempo dal passaggio de
i veicoli agricoli, fortuna perché la pioggia battente e terminata da poco, ed il fango è tanto…ma Daniele mi rassicura….”dovaria tegnere, non son mai ndà so (dovrebbe tenere non sono mai caduto giù), ed Io …beh allora non sarà certamente questa la volta……
Tra un solco è l’altro rallentiamo per vedere un vigneto di un altro produttore in espianto per la Flavesceza dorata…e ad entrambe piange il cuore. Poi arriviamo in contrada Muni…dove è iniziato tutto…dove mi mostra dove è partito tutto, la prima vigna di Durella, oggi al centro di altri due vigneti recentemente realizzati, ma si osserva subito che appartengono ad un’altra proprietà…..in questi impianti la sensibilità ambientale certo è mancata totalmente…Poi mi mostra due vigneti di Durella uno vecchio ed uno nuovo, spiega che i cloni sono diversi anche all’interno dello stesso vigneto, che la sua selezione prima prevedeva una tipologia, poi nel tempo si è accorto che un altro clone garantiva più risultato constante nel lungo periodo, e così il nuovo vigneto prevede solo questa recente selezione aziendale.
Poi l’ultimo vigneto della giornata, il Pinot Grigio, mi viene spiegato come il vigneto all’origine allevato a tendone ed improduttivo è stato trasformato a guyot: bilaterale, una tecnica imparata dagli amici piemontesi, dove la parte in eccesso viene sistematicamente privata delle gemme, mentre inferiore ove si vuole creare il nuovo guyot viene fatta germogliare. Con il tempo, anni, la pianta tenderà ad abbandonare la fornitura di linfa alla parte “in eccesso” e gradualmente si seccherà; anche il taglio sarà progressivo e verterà solo nella porzione morta. Visivamente si osservano questi guiot bilaterali, con questi speroni dritti verso l’alto, sicuramente esteticamente non gradevoli, ma sicuramente garantisti verso la pianta e relativa produzione.
Ma ora arriviamo alla cantina, recentemente realizzata ed in parte in fase di costruzione, ove due archi centrali rivestiti in conci di pietra locale ne identificano l’ingresso. E
qui iniziano le sorprese…… un grande uovo in ceramica grigio fa bella mostra all’ingresso, viene utilizzato per far macerare parte della Durella, poi alcune barriques di Vitigni ormai quasi scomparsi, annata 2019 e 2020……sono l’Oseleta, la Turchetta e la Cambrusina. Tre vitigni autoctoni di cui due ormai introvabili in purezza!
Per gli interessati due cenni su queste uve autoctone venete:
Turchetta:
Vitigno a bacca nera, recuperata grazie a un progetto di Veneto Agricoltura con il Centro di Ricerca per la Viticoltura di Conegliano, di cui negli ultimi anni sono state piantate migliaia di barbatelle. Di quest’uva il “Bollettino Ampelografico 1884-87” testimoniava che all’epoca la si trovava in 23 Comuni della Provincia di Rovigo (e in altri 17 una varietà scomparsa, la Calma Turchetta), e molto diffusa era anche nel padovano. Non è da confondere invece con un’altra Turchetta presente nel territorio bellunese. Essendo stata iscritta al Registro nazionale delle varietà di vite, oggi la sua coltivazione è autorizzata in tutto il Veneto.
Di Turchetta ne parlava anche il Marzotto che nel 1925 la considerava una buona varietà, per quanto già allora ormai poco utilizzata. Nel Catalogo Viti si spiega che “è un vitigno di media vigoria e di buona, anche se non abbondante, produzione. È un vitigno che si adatta bene ai terreni argillosi di pianura, purché ben drenati (…) È molto rustico, poco sensibile alla peronospora ed alle altre crittogame e non è soggetto a marciume”. “Il terreno polesano è adatto alla coltivazione dell’uva – continua Comini – e la Turchetta produce un vino di buona qualità, ricco di antociani e perciò di colore, tanto che qualcuno l’ha piantata in Valpolicella per dare maggiore intensità all’Amarone. È anche un’uva bellissima da vedere”.
Intanto, la tendenza è a vinificarlo in purezza, visto che si può commercializzare come Turchetta Igt Veneto.
Il nome originario per il vino sarebbe Turchetto. Normalmente infatti in veneto è designato al femminile il nome dell’uva, mentre al maschile il nome del vino. Il vitigno Turchetta un tempo era molto diffuso soprattutto in provincia di Rovigo, Padova e Verona; esso presenta una discreta vigoria, una produttività media e una buona resistenza. Il grappolo ha dimensioni medio o medio-piccole e la forma é piramidale-alata. L’acino di colore blu-nero ha dimensioni medie, di forma sferico-regolare, con buccia sottile e ricca di pruina. L’uva matura tardivamente e il mosto che ne deriva ha un colore rosso intenso e un buon contenuto di zuccheri. Un ‘altra azienda Veneta che crede i questo vitigno e lo coltiva ormai da anni, ottenendo buoni risultati è l’ Azienda Agricola Salvan Urbano “Pigozzo”, di Due Carrare (PD).
Oseleta:
Il vitigno Oseleta, a bacca nera ricade sotto la denominazione generica di uve oseline o salvadeghe, si conoscono, nella zona veronese parecchie varietà di vitigni… …che crescono spontanei”. Così la Commissione ampelografica esordisce a seguito delle indagini effettuate nel territorio veronese tra il 1880 ed il 1883. Sui Lessini furono trovate quattro varietà di oseline colorate ed una a frutto bianco. Nella relazione della Commissione vengono descritte “seguendo i nomi vernacolari” con i nomi di oselina rossa, oselina montagnina, oselina mora “la quale possiede granelle alquanto più piccole della rossa” e oselina nera. “Tutti questi vitigni sono cespugliosi… hanno le foglie più o meno verdi, ma sempre piccole e nettamente laciniate, tutte allegano facilmente e donano minuti grappoli composti di aspri e piccoli granelli”. Queste stesse varietà vengono citate anche da Zava, che indica anche una Oselina presente nella provincia di Treviso. Segnala comunque che queste varietà hanno una
importanza irrilevante, crescono spontanee e servono da alimento agli uccelli, da qui il suo nome che deriva dal gradimento che gli uccelli mostrano verso le sue bacche. Anche il Sormani – Moretti descrive una Uccellina o Oselina rossa, come varietà silvestre coltivata a Quinzano. La Oseleta, viene recuperata nel veronese a Pigozzo, all’inizio degli anni ‘70 del secolo scorso, raccolta in campi di conservazione, dove viene descritta e valutata dal punto di vista viticolo ed enologico (1980). Il suo vino viene definito “complessivamente molto interessante per il colore, il corpo, la vivacità”. Recuperata e riscoperta la Oseleta, comincia ad essere utilizzata in uvaggio (Tosi,Bletzo 2000) “per la produzione del vino Valpolicella, del Recioto e dell’Amarone, per le caratteristiche enologiche, per la buona idoneità all’appassimento e per le basse rese che consentono di rientrare nei parametri del disciplinare doc. La Oseleta è vitigno di discreta vigoria; discreta e costante produzione, nonostante le ridotte dimensioni dei grappoli, grazie ad un’elevata fertilità delle gemme. Il germo-gliamento abbastanza tardivo la rende poco sensibile ad eventuali brinate primaverili. Presenta poca suscettibilità alle crittogame; nonostante il grappolo molto compatto, si conserva a lungo sia sulla pianta che in fruttaio, per cui viene utilizzata per la produzione di vini passiti quali il Recioto e l’Amarone, a cui apporta colore e struttura. Un’importante azienda della Valpolicella che crede i questo vitigno e lo coltiva ormai da anni, ottenendo buoni risultati è l’ Azienda Agricola Masi, di Sant’Ambrogio di Valpolicella (Vr).
Cambrusina:
Antico vitigno a bacca nera del veronese, di cui si hanno pochi riscontri bibliografici. Il Sormani Moretti (1904) nomina, tra le uve nere, nere violacee e violacee, una “Cambrusina francese di Valpolicella”. Ne “I vini pregiati della Provincia di Verona (1939)” si legge che la Cabrusina o Montanara “era già limitatamente coltivata nelle colline veronesi a che ora, man mano che procede la ricostituzione viticola, va pressocchè scomparendo, perchè non possiede la “Qualità” di molti altri vitigni veronesi”. Il lavoro di reperimento del germoplasma viticolo veronese effettuato a partire dal 1970 dall’Istituto Sperimentale per la viticoltura di Conegliano in collaborazione con Enti ed aziende operanti sul territorio, ha permesso di recuperare la varietà Cabrusina, che è piantata in tre campi di conservazione. I rilievi effettuati, ampelografici, produttivi ed enologici, sono stati pubblicati nel 1980. Viene definita varietà vigorosa, ma equilibrata, in grado di dare produzione elevata; il vino che si ottiene dalle sue uve è definito “interessante come base di taglio per acidità e colore”. La descrizione ampelografica è basata su osservazioni fatte nell’az. dell’Amministrazione Provinciale di Verona a S. Floriano e controllate sui ceppi coltivati nell’az. dell’Istituto Sperimentale per la Viticoltura a Spresiano. La Cabrusina è un vitigno con un buon equilibrio vegetativo, di buona o elevata produzione, sia per la buona fertilità delle gemme che per le elevate dimensioni del grappolo; è poco sensibile alle principali crittogame.
Tratto da “Recupero, conservazione e valorizzazione del germoplasma viticolo veneto”. S. Cancellier, P. Giacobbi 2004.
Passiamo alle prove di botte 2020, ove sicuramente ci colpisce molto positivamente l’oseleta in purezza, dal color rubino intenso, in bocca un’esplosione di frutto di bosco, elegante e persistente, la Turchetta ovviamente giovane, presenta il sentore tipico delle uve selvatiche, il tannino da ammorbidirsi, e la spalla acida in finitura, mentre la Cambrusina…. è ancora tutta da formarsi, ancora giovanissima e selvatica, forse verrà tagliata con…..ma questa sarà una futura sorpresa che saprete alla prossima visita!
E’ ora di congedarsi, lasciamo cantina Piccinin con la serenità di avere conosciuto un ragazzo con la forza di sognare a mente lucida, di chi si pone degli obbiettivi portandoli avanti in modo concreto, sperimentando e credendo nel territorio e nei propri vitigni autoctoni, mettendosi sempre in discussione per ottenere i migliori risultati.
Grazie Daniele e Asta Luego!
Per L’Indovino Maura Gigatti
e
L?INDOVINO