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Profumo 6.9
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Gusto 6.0
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Emozione 6.5
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Bevibilità 5.7
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Colore 7.0
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Le Classificazioni Degli Utenti (0 Voti)
0
Aspetti Positivi:
Colore: paglierino medio d'orato; Profumo: ribes bianco e uva spina bianca maturi, intrigante gelsomino; Gusto: ampia apertura, corpo strutturato, grande spalla acida, legg. invasiva per giovane età, minerale, coda spessa lunga con finale di limone sorrento, cedro, fiori acacia finali. Giovanissimo. EMOZIONE: UN GIOVINETTO CON TANTO FUTURO
Aspetti Negativi:
- ancora giovane
Cantina:
Az, Agricola Malagutti Laura-Erioli -ERIOLI -
Nome:
Malvezza Alionza dell'Emilia IGT
Annata:
2017
Gradazione:
13°
Provenienza:
Via Monteveglio 64 Bazzano (BO) - SP28, 57, 40053 Valsamoggia BO - tel 051 830103 -E-mail: eriolivini@alice.it -
Prezzo medio:
circa 15,00 euro
La storia della famiglia Perini inizia indietro nel tempo, nei primi del novecento, i bisnonni acquistarono i vigneti dalla Chiesa, allora proprietaria di numerose terreni. La maggior parte degli agricoltori che utilizzavano tecniche spartane sia in vigna che in cantina, capirono le potenzialità di queste uve, di cui la Santa Maria è sicuramente la protagonista; uva dolce non stucchevole, coltivata in un terreno sabbioso derivante dalla presenza del mare ritiratosi milioni di anni fa, e dalla presenza di calcare, con inclusioni di fossili marini.
Il padre Enzo tramandò gli insegnamenti ai figli, tra cui l’antica tecnica dedicata all’appassimento delle uve; trascorsero gli anni e grazie all’aiuto del fratello Luigi, oggi scomparso, l’azienda si ampliò, fu una delle fondatrice della DOC di Vigoleno e sostenitrice del mantenimento di un disciplinare restrittivo di sole uve locali.
Tre ettari e mezzo a vigneto di proprietà, dislocati in più parcelle nel comune di Vigoleno e Bacedasco, di cui 1.5 ettari atti alla produzione del dolce nettare, in particolare di uva Santa Maria che compone circa il 60% del vin santo dell’azienda, di cui una vigna di 70 anni funge da madre per la selezione massale (si scelgono i soggetti con le caratteristiche migliori all’interno di un vigneto, si controllano prima della vendemmia le viti e gli eventuali attacchi di parassiti o virosi e si prelevano nel periodo della potatura invernale le marze – parte della vite che porterà foglie e frutti- adatte per l’innesto sulla talea americana) dell’azienda ed anche per altri produttori, in quanto non esiste un vivaista che produce le barbatelle di questi rari vitigni; questo è anche uno dei motivi che ha portato progressivamente all’abbandono della produzione del Vin Santo di Vigoleno
EMOZIONE: DENSO E SPEZIATO
Degustazione: presso l’azienda 05/08/2019 con la proprietaria
L’azienda nasce nel 1933 ad opera del nonno Vincenzo Malagutti, con il nome di Podere San Giuseppe, come citato da un atto di compra-vendita di parte della tenuta Malvezza di Bazzano, che nel ‘600 risulta essere di proprietà della prestigiosa famiglia bolognese di origine medioevale dei Malvezzi (Malvicius).
Prima di questo periodo essa faceva parte quasi sicuramente dei beni che ricadevano sotto la giurisdizione dell’Abbazia di Leno nel bresciano (documenti del 1192 d.C.) in quanto comprendeva anche l’antichissimo oratorio di San Vincenzo.
Nel 1989, Giorgio Erioli, si appassiona al mondo del vino, si licenzia dal lavoro dipendente, subentra al “babbo” ridando vita ai vitigni autoctoni, con una produzione di dieci- dodici mila bottiglie all’anno che coprono prevalentemente un mercato locale e poche province limitrofe.
Ma la forza che contraddistingue questo “vigneron”, è la rivalorizzazione di due antichi vitigni autoctoni, un tempo altamente coltivati nella pianura e nelle colline circostanti: l’Alionza uva a bacca bianca e il Negretto, uva a bacca nera.
Nella vigna di Giorgio (Alionza), piantata nel 1930 vengono ospitati entrambi i cloni, ed a breve, per far fronte al cambiamento climatico, verrà piantato un nuovo terzo clone sperimentato a Castelfranco Emilia, e resistente alla siccità sempre più presente negli ultimi anni nella nostra penisola.
ALIONZA : Nel recente “Dizionario dei vitigni antichi minori italiani”, si legge: “Vitigno bianco tipico del Bolognese e del Modenese di origine assai remota, probabilmente derivante dai paesi slavi (come starebbe a testimoniare il sinonimo di Uva schiava che gli viene attribuito nel Bolognese), ricorda la Schiava bianca del De Crescenzi e viene citato a partire dal ‘500 anche con il nome di Alionga, Glionza e Leonza. È una varietà in passato consumata anche come uva da tavola e diffusa anche nel Bresciano e nell’alto Mantovano. Predilige una potatura lunga, terreni sciolti e caldi di collina e mostra una media tolleranza all’oidio e alla botrite. Vinificata da sola, dà luogo a vini di colore giallo paglierino e gusto armonico, senza particolari caratterizzazioni aromatiche” (Scienza et al., 2004).
Nota con i sinonimi di Aleonza, Glionza, Uva Lonza, Aglionga bianca del Bolognese. Con il termine di “schiava” Pier de Crescenzi forse intendeva proprio l’Alionza, ma si tratta di un nome generico con cui si indicavano uve diverse di possibile provenienza dai paesi slavi o così dette per il tipo di potatura a filari, talvolta usato in alternativa al “pergolato pensile” (Calò et al., 2006).
Gli Imolesi raccontano che Cesare Borgia, dopo aver assaggiato il vino di Alionza, ne inviò un paio di botticelle, sotto scorta armata, a Papa Alessandro VI (eletto nel 1492). Se così fosse, si potrebbe affermare, con buona approssimazione, che questa varietà era presente nelle province di Modena e Bologna già in epoca anteriore alla prima citazione storica del Tanara del 1644: “La Leonza, il Barbosino, …. con poch’acqua fanno Vino picciolo, & insipido” (Tanara, 1674).
Viene, poi, citata da Trinci all’inizio del Settecento; ne “L’agricoltore sperimentato” viene dedicato un capitoletto all’uva Lonza e sue qualità: “L’Uva Lonza è di qualità bianca; e maturata che sia perfettamente, diventa un poco picchettata di un colore simile alla ruggine, ma forse un poco più chiaro; comincia a maturare subito passata la metà d’Agosto; ne fa quasi sempre poca, di pigne spargole, di granella belle, grosse, tonde, e di guscio gentile. Fa i capi grossi di colore di marrone chiaro con gli occhi lontani uno dall’altro, e poco rilevati. Fa i pampani molto grandi, un poco vellutati dalla parte di sotto, rabescati, e intagliati profondamente, con le punte acute, col gambo lungo, grosso, e colorito gentilmente di vermiglio. Vuole il Clima caldo, esposto all’Aria di mezzo giorno, il suolo asciuttissimo, leggieroso, sottile, e atto a pigliare caldo, come quello che si è già descritto per l’uva Barbarosia. Fa il vino bianco di color di paglia, poco spiritoso, ma molto delicato, e odoroso; matura presto per le prime beve, è molto gradibile e gustoso a beversi solo; e mescolata questa con altre uve proprie in giusta quantità, fa buonissima composizione, particolarmente ne’ vini bianchi” (Trinci, 1764).
Acerbi, nel 1825, cita l’Alionza tra la “Viti de’ contorni di Bologna”, ma dedica alcune righe anche ad una “Lonza” in relazione alle viti conosciute in Toscana: “Uva bianca la quale, maturata, mostra di essere spruzzata come di color di ruggine: è scarsa per la quantità, ma di granelli grossi, tondi, e di buccia sottile. Produce un vino bianco di color di paglia, poco spiritoso, ma molto delicato e odoroso” (Acerbi, 1999).
Nel Vocabolario Bolognese-Italiano di metà Ottocento si trova la voce Alionza: “Specie d’uva di moltissimo suco” (Ferrari, 1858).
Di Rovasenda nel suo “Saggio di una ampelografia” del 1877, riporta una “Alionza bianca. BOLOGNA. Delle migliori per vino, secondo informazioni avute dal conte BIANCONCINI CARLO, grande amatore di viticoltura”. Riferisce poi di una “Leonzia. Uva bianco-dorata esposta dal signor CENDRINI di MODENA” e riporta in sintesi le indicazioni bibliografiche della Lonza dal Trinci al Giornale La vite e il vino: “… ha grappoli medii, aperti. Acini grossi. Tondi, dorati, di buccia gentile. Dà vino color di paglia, delicato, poco spiritoso” (Di Rovasenda, 1877).
Bisognerà aspettare, però, i lavori della Commissione ampelografica bolognese per la prima descrizione dettagliata della varietà: “Alionza, Aleonza, Leonza. a) Nozioni generali sul vitigno e sua indole. – Il germogliamento è tardivo, ordinariamente dal 10 al 20 aprile; la vegetazione robusta, ma non resiste alle brinate ed all’oidio. Si coltiva a coltura mista, ed è affidato agli alberi, i quali ordinariamente sono gli olmi e gli oppi. Preferisce la potatura lunga. Fiorisce tardi, cioè dal 10 al 20 giugno. Il grappolo prima della fioritura non ha colore, né forma particolare. È di difficile alligagione, per lo più, con fruttificazione incerta (intermittente), che diviene abbondante negli anni favorevoli. In vigna però è quasi sempre scarsa. Matura con precocità, cioè dal 1° al 15 settembre. Quest’uva è usata per il vino. La produzione totale di quest’uva, a confronto delle altre nella stessa località coltivate, ha molta importanza, specie nell’alta pianura. b) Parte legnosa. – I tralci di questo vitigno sono lisci, alquanto rigati e macchiati; sono di grossezza media, e portano delle strie rosso-vinose. Ha nodi alquanto ingrossati e dello stesso colore del tralcio, internodi lunghi 12 centimetri in media. Le gemme sono leggermente tomentose e sporgenti. c) Parte erbacea. – Il germoglio è
cotonoso, di color verde chiaro, con margine leggermente rosso. Ha viticci frequenti, verdi, robusti, bifidi. La foglia completa è piuttosto grande, con la pagina superiore di color verde-chiaro, e che si tinge in giallo nell’autunno. Detta foglia è sottile, morbida, liscia, piana, sprovvista di peli alla pagina superiore, mentre la inferiore ha peli disposti a ragnatela, ed ha un colore verde biancastro. È quinquelobata con lobi abbastanza regolari, allungati, con seni profondi, larghi e rotondati, aperti al margine. I lobi della base formano, all’inserzione del picciuolo, un seno conico ed aperto. La dentatura del margine della foglia è piuttosto larga, acuta, poco profonda, lievemente uncinata. Le nervature sono alquanto rilevate e non rosseggianti al centro. Il picciuolo è piuttosto lungo, verde e sottile. La caduta della foglia si effettua ad epoca media. d) Frutto. – Il grappolo dell’uva ha forma allungata; è alato, sciolto, lungo e grosso. Il raspo è di color verde-chiaro, con peduncolo robusto, regolarmente lungo, con pedicelli piuttosto larghi e color verde-chiaro.Gli acini sono grossi, con alcuni molto piccoli, senza vinacciolo, quasi sferici. La buccia degli acini è pruinosa e con punteggiature, sottile e tenera, di colore giallo; soggetta ad infradiciare. La polpa è molle, di sapore semplice e dolce. Contiene la medesima, generalmente, due vinacciuoli; i piccoli ne mancano. e) Mosto. – Il mosto, che da quest’uva si ottiene, ha il 23,2 per 100 di sostanza zuccherina ed il 0,265 di acidità. f) Vino. – Il vino è generoso e serbevole” (AA.VV., 1879).
Verso la fine del XIX secolo (1897), Jemina inserisce questo vitigno tra le migliori uve da vino coltivate nel Bolognese e Modenese, unitamente all’Albana (Fontana e Filippetti, 2006).
All’inizio del Novecento, l’Ampelografia del Molon riassume lo stato dell’arte in merito all’Alionza bianca e, anche se non dirime la questione dell’uso del termine Schiava, viene puntualizzata la sinonimia errata con “Gatta”: “Si noti però che il nome di Alionza in quella provincia (ndr: Bologna) è dato pure alla Gatta, uva a grappolo serrato, che matura in fine di settembre, mentre l’Alionza ha grappolo sciolto, e matura nella prima quindicina dello stesso mese” (Molon, 1906).
Negli anni della ricostruzione post-fillosserica”, il prof. Nazari inserisce l’Alionza tra i principali vitigni dell’Emilia (Nazari, 1910).
Toni, nel 1927, annovera l’Alionza fra i vitigni che hanno contribuito al miglioramento della viticoltura Bolognese, tanto che è stata tenuta in una qualche considerazione anche dopo l’avvento della viticoltura specializzata (Toni, 1927).
Negli anni ’90 un lavoro sul lessico vitivinicolo ha preso in esame anche l’Alionza nell’accezione “Leonza”: “dal it. leonessa lat. LEO, incrociato con it. lonza *LUNCEA, riprendendo l’immagine delle macchie nere di questi gatti selvatici, siccome l’uva maturata mostra di essere spruzzata come di color ruggine” (Hohenerlein-Buchinger, 1996).
Nel 1989 la varietà Alionza è sta iscritta al Registro Nazionale delle Varietà di Vite, ma il suo destino era ormai segnato e le superfici destinate a questo vitigno erano in calo continuo.
Nel 2000 erano stati censiti 36 ettari di Alionza in Emilia-Romagna (43 ha in Italia), che al Censimento del 2010 erano già scesi a 7,19 ettari (10,59 ha in Italia), quindi siamo a livello di vitigno in via di estinzione.
ZONA TIPICA DI PRODUZIONE
Principalmente nel Bolognese, ma in passato si ritrovava qualche esemplare anche nelle province di Modena e Ravenna. (Estratto dal sito della Regione Emilia Romagna).
EMOZIONE: UN GIOVINETTO CON TANTO FUTURO
Degustazione: in cantina il 30-07-2019 con il produttore